In una famiglia come la mia dove si è abituati ad accumulare molti libri, è inevitabile dimenticarsi di alcuni titoli che si sono comprati in passato. Può capitare, quindi, che la libreria nasconda dei piccoli tesori un po’ datati, celati ai nostri occhi nei meandri profondi del mobile più caro a un lettore. Ma, come un bravo segugio, la sottoscritta non si è lasciata sfuggire questo libro, una raccolta di storie del folklore bretone.

Questi racconti sono divisi in due parti: la prima è dominata da ambientazioni dell’entroterra di questa regione francese, dove quindi i paesaggi verdeggianti regnano sovrani; la seconda sezione, invece, si dedica alla zona costiera della Bretagna, nella quale, invece, è il mare a essere il protagonista indiscusso dei panorami territoriali.
Nonostante i luoghi dove queste storie prendono vita siano agli antipodi, seppur costituiscano i due versi della medesima medaglia, esiste un filo conduttore che, unendo le due parti separate del libro, è costituito da tante piccole peculiarità le quali, invisibili, legano in maniera indissolubile le leggende che Anatole Le Braz ha deciso di divulgare a tutti quanti noi.

Il primo aspetto che spicca su tutti è la drammaticità insita in ogni storia presente in questa raccolta. Proprio nel momento in cui avevo deciso di iniziare questa lettura, avevo pensato che avrei letto quasi certamente qualcosa di tragico, emotivamente negativo, ma, forse in maniera alquanto sciocca, avevo creduto di trovare anche una piccola scintilla di positività, felicità e speranza in questi racconti: niente di più sbagliato. Nonostante comunque la presenza di questo alone di tristezza che permea il libro, infondendo anche in noi quest’emozione avvilente, la mia anima sentimentale vorace di lieto fine si è saziata ampiamente, rimanendo fin troppo soddisfatta del lauto banchetto.

«Mio Dio, io amavo Mathias», rispose pudicamente la giovane donna, «e quando si ama…» «Sì, lo so: si attraversa la vita con gli occhi bendati», concluse la vecchia.

La seconda caratteristica che accomuna questi racconti è l’importanza evidente, o forse anche fin troppo accentuata, degli usi e i costumi della popolazione bretone. Infatti, in questo libro, fin dalle prime pagine, si può intuire la profonda rilevanza delle tradizioni in qualsiasi cosa un individuo dell’epoca facesse o dicesse. Non ci si deve quindi stupire che la religione, con tutto quello che essa concerne, sia una presenza forte e vigorosa nelle leggende narrate da Le Braz. Ciò che mi ha davvero colpita è stato constatare come l’autore abbia unito la sacralità del culto ai paesaggi reali che egli stesso ricrea con le parole in maniera magistrale e attenta ai minimi particolari, anche quelli più insignificanti: infatti, nelle descrizioni, soprattutto della prima sezione del libro, penso per dimostrare come tutto ciò che è bello viene da Dio, lo scrittore ha comparato i paesaggi con la struttura di una chiesa, un santuario immenso, atto forse a richiamare la beltà del divino sulla terra, rispecchiandoLo in maniera eccelsa e senza eguali.

Io ho sempre amato la bellezza delle cose. È uno spettacolo che non costa nulla, e che non ci si stanca mai di guardare.

Anche nella seconda parte di questa raccolta, viene fatto tale paragone; però qui l’autore non si limita a questo: si focalizza in maniera marcata sull’esplicazione corposa ed esaustiva di riti e usanze religiose delle persone che popolano quei luoghi, includendo in questa esposizione minuziosa anche tutte quelle superstizioni covate in seno dai personaggi timorosi e devoti, usciti dalla penna di Anatole Le Braz. Quindi, ancora una volta, l’autore ci ricorda come le radici di un popolo siano di vitale importanza, forgiando così l’esistenza di ogni individuo, in particolar modo le sue abitudini, inducendolo a un determinato comportamento nei confronti di se stesso e del prossimo, in ogni specifica situazione. E penso sia proprio grazie a questa venerazione di Dio che il tono drammatico dei racconti non appesantisce totalmente l’animo del lettore, facendolo sprofondare negli abissi di un oblio demoralizzante e senza speranza: la religione risulta essere un faro che illumina le tenebre più buie, una guida e un’amica che ci aiuta a comprendere come la morte non sia un male, ma sia l’inizio della vita vera.
Ammaliando il lettore grazie a una narrazione quasi magica che travolge completamente ma che a volte sembra essere frenata forse a causa delle tematiche di un certo spessore affrontate in questo libro, con uno stile elevato e aulico, questo scrittore proietta chi legge in luoghi di un’epoca quasi dimenticata, riportando in vita con una fiumana di parole tutto ciò che una volta era importante, tutto ciò che una volta era il fondamento della civiltà, istruendo il suo pubblico riguardo agli usi e ai costumi di un popolo senza tempo e senza età come quello dei Bretoni.

Laggiù, vedete, si perde il senso del tempo. È una cosa molto particolare, di cui non ci si può render conto qui a terra, dove ci si alza quando è giorno e si va a letto quando è notte; dove l’Angelus suona al mattino, a mezzogiorno e alla sera; dove il sole si alza, cammina e va giù con la regolarità dei pesi di un orologio; dove il contadino, in mancanza di quadranti, ha la possibilità di stabilire l’ora dalla lunghezza della propria ombra. In Islanda, niente di tutto ciò. Si vive come fuori dalla vita: si va, si viene, si lavora, si mangia, si dorme, nelle lunghe pause si scambiano rade parole: ma confusamente, macchinalmente, e come in sogno. Giorno e notte sono solo termini svuotati di ogni senso.

 

 

Valutazione:

 

Scheda libro

Titolo: Il bastardo del re e altre magie di Bretagna
Autore: Anatole Le Braz
Casa editrice: Neri Pozza
Pagine: 280
Anno di pubblicazione: 2000
Traduttore: G. Corà
Genere: Narrativa storica
Costo versione cartacea:
Costo versione ebook: